Fausto Zevi
Un fregio tra Ostia e Berlino
Dei quattro blocchi marmorei decorati da rilievi che si vedono qui ricomposti, due, uno intero e uno frammentario, sono stati trovati ad Ostia a notevole distanza di tempo (rispettivamente nel 1938 e nel 1970), ambedue in condizioni di reimpiego in edifici diversi vicini al foro della città. Solo nel 1979, uno studio di K. Schefold ha riconosciuto la pertinenza allo stesso monumento di due lastre scolpite, notevolmente restaurate, acquistate a Roma nel 1832 per i Musei di Berlino, dove si conservano tuttora: la disponibilità degli Staatliche Museen ha consentito, nel quadro di un accordo di insieme con la Soprintendenza ostiense, la temporanea riunificazione con quelli di Ostia e la presentazione complessiva del singolare monumento. L'origine ostiense dei due pezzi di Berlino, appartenuti alla collezione Piranesi, era sconosciuta: è probabile che provengano dagli scavi condotti ad Ostia, tra il 1774 e il 1779, dal pittore scozzese Gavin Hamilton con cui Francesco Piranesi era in relazione. Per diminuire il peso, facilitandone così il trasporto e la vendita, i due pezzi di Berlino sono stati segati e ridotti a lastre, laddove i due di Ostia conservano lo spessore originario e i fori per le imperniature e le grappe, che dimostrano come i rilievi stessi, eseguiti su più blocchi accostati, componessero un piccolo fregio con chiara funzione architettonica.
Particolarità techniche suggeriscono che i due blocchi conservati ad Ostia (uno dei quali frammentario, come si è detto) fossero collocati alle due estremità, primo ed ultimo della sequenza. Quanto ai due berlinesi, E. Harrison ha ben visto che uno di essi conguinge con quello frammentario di Ostia: i due pezzi ricomposti, infatti, raggiungono insieme una lunghezza di m. 1.50 ca., uguale cioè a quella del blocco conservato per intero. Il secondo rilievo di Berlino, invece, incompleto sui lati, si situava al centro fra gli altri due; non è facile stabilire se fosse il solo, e se la sua lunghezza originaria fosse pari a quella degli altri due elementi (in questo caso il fregio avrebbe misurato m. 4.50, con poco spazio per inserire altre figure) o maggiore, il che condiziona, naturalmente, la ricomposizione e la interpretazione delle scene rappresentate.
Fig. 1 - Museo Ostiense, inv. 148
Il fregio è una composizione narrativa in cui si succedono vari episodi relativi al mito di Efesto (il dio fabbro identificato dai Romani con Vulcano), intrecciati con i miti attici di Atene, infatti, sulla balza del kolonos agoraios, tuttora sorge l'imponente struttura del tempio dorico di Efesto (Hephaisteion) che accoglieva i simulacri di ambedue le divinità. Le statue, erette su di un unica base decorata con storie mitiche pertinenti, erano state eseguite tra il 421 e il 415 a.C. da Alkamenes, allievo di Fidia.
La narrazione, che procede da destra a sinistra, si apre con la nascita di Athena. Secondo la iconografia tradizionale, la dea balzava armata dal cranio di Zeus, che Efesto aveva aperto con un colpo d'ascia per propiziare quel parto straordinario: così appare nella ceramica del VI e V secolo a.C., mentre una potente rielaborazione figurativa si era avuta nel Partenone, dove l'episodio era stato scelto per decorare il frontone principale (est) del tempio. Nel nostro fregio (fig.1), la dea emerge bensì dal cranio del padre che, maestosamente assiso in trono, sembra materialmente estrarla con la mano; ma, anziché adulta e armata, essa è raffigurata a mezzo busto (la testa è perduta) come una bimba dalle braccine aperte quasi in un gesto di innocente sorpresa, ben diversa dal dinamismo formidabile della dea armata. Ma al Partenone richiama la figura che segue, una giovane che in concitato movimento, il manto gonfiato dal vento ad arco sopra la testa, fugge davanti al prodigio: è Ilizia, dea protettrice dei parti, sgomenta di fronte a quel parto tanto straordinario e diverso.
L'atmosfera di infanzia perdura nella scena che segue: al cospetto di una imponente divinità matronale, seduta su un ampio sedile dall'alto cuscino, un bimbo nudo e malfermo sulle gambe paffute tende le braccia ad una vecchia inserviente che si china verso di lui; posata sul pavimento è pronta la brocca per il bagno, nel chiuso di un ambiente riparato dal cortinaggio inciso sullo sfondo. Si tratta della nascita di Efesto, che Hera (da riconoscere nella dea matronale assisa) generò da sola, per ritorsione contro la nascita di Athena (cosÌ nella Teogonia di Esiodo, vv. 924 ss.); il passo incerto del bimbo indicherebbe la malformazione (Efesto era zoppo), causa dell'odio della madre che, secondo il mito, precipiterà poi il piccolo dall'Olimpo. La scena del bagno compare in sarcofagi romani di II/III sec. d.C., come rappresentazione d'inizìo del ciclo della vita umana, ma in essi il bimbo, accompagnato dalla nutrice, muove i primi passi verso la figura materna, laddove qui se ne allontana, facendo così intuire il drammatico prosieguo della storia, sviluppato nella scena seguente sulla metà di lastra berlinese.
Fig. 2 - Musei di Berlino, inv. SK 912
Qui il piccolo Efesto (fig. 2), in tunichetta corta e berretto da lavoro, in una mano il martello, nell'altra la tenaglia del fabbro, è raffigurato mentre obliquamente precipita dall'Olimpo in grembo ad una figura femminile semisdraiata, il busto nudo, il manto sollevato a far velo attorno al capo in un gesto che esprime stupore: essa si appoggia ad un dragone marino, che si volge anch'esso a guardare l'inconsueto spettacolo, che la caratterizza come divinità del mare; poco oltre, su un'eminenza rocciosa che potrebbe essere l'acropoli di Atene o piuttosto l'isola di Lemno, una piccola Athena armata con egida, elmo, lancia e scudo, si appoggia ad un ramo di un ulivo dal tronco nodoso, l'albero a lei sacro. In alto, la coppia dei sovrani dell'Olimpo, Zeus e Hera con gli attributi rispettivi, il fulmine e lo scettro, si sporgono come da una nuvola protendendo la destra; in verità, l'atteggiamento non è quello di chi ha appena precipitato il piccolo Efesto, ma, specialmente Zeus che si sporge fortemente dall'alto in direzione di Athena, sembra piuttosto chiamare la dea, che la statura indica ancora bambina ma già in tutto pronta ed armata, al soccorso di Efesto. La scena significa la signoria di Efesto su Lemno, sulla quale peraltro anche Atena estendeva la sua protezione: in età periclea coloni ateniesi vennero inviati a colonizzare l'isola, e dedicarono nella madrepatria, sulla Acropoli, una celebre statua di Fidia detta appunto Atena Lemnia, che recentemente è stata oggetto di un tentativo di identificazione proprio sulla base del nostro rilievo. Al tempo stesso, la scena vuol alludere, sulla traccia dell'Iliade (18, v. 394 ss.), alla lunga permanenza di Efesto nel fondo degli abissi, dove il divino fabbro restò per nove anni in una grotta forgiando preziosi oggetti per le dee del mare.
L'ulivo di Atena separa la scena dalla seguente, che inizia con una nobile figura femminile stante, ammantata, accanto a cui è posato uno scudo e che sorreggeva con la destra levata un oggetto, ripristinato dal restauratore settecentesco come un elmo: si tratta sicuramente di opere della officina di Efesto, e si penserebbe alle armi fabbricate per Achille, se la dea avesse qualche attributo marino che consentisse di identificarla con Teti, la madre dell'eroe.
Fig. 3 - Musei di Berlino, inv. SK 913
La lastra che segue (fig. 3), la seconda di Berlino, è purtroppo incompleta su entrambi i lati, sì che non se ne può ricostituire la originaria lunghezza e quindi il numero delle fígure mancanti. Restano cinque divinità, tutte stanti (da destra Hermes, Apollo-Helios, Athena, Zeus, Hera), mentre l'ultimo blocco del fregio (fig. 4), quello che si conserva ad Ostia, inizia con altre quattro figure divine (Dioniso, Afrodite, Ares, Poseidon). Il problema è di stabilire se si tratta di una sequenza unitaria di dei dell'Olimpo, cui mancherebbero perciò solo pochi personaggi (ad es. Artemide, Demetra, forse Hestia), ovvero se i due consessi divini partecipassero a due diversi episodi, nel qual caso nella lacuna si potrebbero integrare, come è stato autorevolmente ipotizzato, altri episodi famosi di Efesto, come la nascita di Erittonio, ovvero Ares e Afrodite sorpresi nel talamo e imprigionati dal dio fabbro con una magica rete, ampliando così l'insieme in una misura non facilmente determinabile. Un'allusione a questo episodio si coglie nella presenza di Helios, il Sole che tutto vede, e che infatti scopre gli amanti catturati, chiamando tutti gli dei ad assistere alla scena.
A favore della prima ipotesi. si può osservare che nessuna delle divinità del primo gruppo ritorna nel secondo, come ci si potrebbe attendere nel caso di scene diverse; e che, pur nella varietà degli atteggiamenti e delle posizioni dei vari personaggi, gli dei della lastra berlinese sono rivolti sostanzialmente verso sinistra, gli altri verso destra, cioè come se i gruppi convergessero verso un centro occupato dal protagonista della raffigurazione, non altri, evidentemente, che Efesto stesso. Si porrebbero dunque nel mezzo la suprema coppia di Zeus e Hera, fiancheggiati da Athena e, a sinistra, da Efesto, quest'ultimo eventualmente con il neonato Erittonio, in forma di serpente come sono raffigurate le creature figlie della Terra, e come appare nella successiva ed ultima scena. L'episodio sarebbe presentato in forma sintetica e sostanzialmente diversa da quella consueta nella ceramica attica, dove, alla presenza del padre Efesto, la Terra (Ghe) solleva il piccolo porgendolo ad Athena che provvederà ad allevarlo.
Fig. 4 - Museo Ostiense, inv. 18853
Conclude il fregio infatti il mito, squisitamente attico, di Eretteo o Erittonio, nato dalla Terra fecondata dal seme di Efesto, allevato da Athena e venerato sull'acropoli, in quella preziosa custodia di antichissimi miti degli dei protettori e degli eroi fondatori di Atene che era l'Eretteo: in concitato movimento il padre Efesto indirizza il guizzante serpente verso Athena che lo attende indicandogli l'olivo a lei sacro, e che era piantato effettivamente davanti all'Eretteo sull' Acropoli.
L'interesse del documento, colta elaborazione nel clima ellenizzante della Roma del lI secolo d.C. (una cronologia del fregio intorno al 150 d.C. è infatti da preferire a quella nella prima metà del III secolo, parimenti proposta), sta non solo nella interpretazione "attica" di una figura divina antichissima e localmente ambientata come il Vulcano ostiense, ma nella ispirazione evidente, anche se liberamente reinterpretata, da monumenti di Atene, il Partenone e, in particolare, la base delle statue di culto dello Hephaisteion nell'agorà. Si tratta, beninteso, di evocazioni, non di copie precise; il soggetto non corrisponde esattamente, e la iconografia di alcune figure divine meno generiche, in particolare Dioniso che ha la posa tipica dell'Apollo Liceo di Prassitele, risale a modelli diversi e più tardi. Una imitazione precisa del simulacro di Alkamenes, pur in formato ridotto, è stata riconosciuta in una statuetta ostiense a metà del vero di Efesto / Vulcano (fig. 5), in marmo pentelico, che, anche per le sensibili affinità stilistiche con il nostro fregio, con cui condivide "l'impressione di notevole fluidità e di intonazione classica", riconoscerei volentieri come originaria immagine di culto dell stesso sacello: rivolta come è leggermente verso la propria destra, essa presuppone, come nell'agorà, una Athena che completi il gruppo.
Quanto al nostro fregio, la sua esatta funzione architettonica è incerta; nel complesso, tuttavia, siamo chiaramente in presenza dell'arredo figurato pertinente ad uno dei due templi di Vulcano noti ad Ostia dalle iscrizioni, ma finora non localizzati. La caratterizzazione di Vulcano a Roma come dio del Comizio, ad Atene come dio dell'agorà, suggerisce che anche ad Ostia almeno uno dei templi sorgesse in prossimità del foro; con questo si accorda il luogo di rinvenimento dei due frammenti del Museo Ostiense, reimpiegato l'uno in una tarda tamponatura dell'ingresso ovest delle Terme del Foro, l'altro utilizzato con altre lastre a copertura di una tardissima fogna nelle c.d. Terme Bizantine alle spalle del foro stesso.
A puro titolo di congettura, si potrebbe proporre l'identificazione del tempio con il maggiore dei due piccoli edifici di culto che sorgono nella palestra delle Terme del Foro. Innalzato alla metà circa del II sec. d.C., questo grandioso complesso termale venne ad occupare e a ridisegnare buona parte dell'antico centro cittadino, certamente obliterando antichissimi edifici: tra questi può esservi stato anche il tempio di Vulcano, al termine dei lavori ricostruito, nelle forme del tempo, nella palestra di quell'imponente e ricco complesso termale che si proponeva come nuovo centro della vita sociale della città.
Fausto Zevi
Fig. 5 - Museo Ostiense, inv. 152
Bibliografia essenziale:
G. Becatti, "Rilievo con la nascita di Dioniso e aspetti mistici di Ostia pagana", Bollettino d'Arte 36, 1951, pp. 1-14; R. Calza - M. Floriani Squarciapino, Museo Ostiense, Roma 1962, p. 42 n. 14; E. Simon, in Fuehrer durch die oeffentlichen Sammlungen klassischer Altertuemer in Rom, IV, Tuebingen 1972, n. 3052; M.L. Veloccia Rinaldi, in Museo Ostiense. Nuove immissioni, Ostia 1971, p. 15, Tav. II,1; K. Schefold, "Athenas und Hephaistos' Leben auf einem Fries in Ostia und Berlin", Antike Kunst, 1979, pp. 99-103, tav. 30,1; E.B. Harrison, "Lemnia and Lemnos: sidelights on a Pheidian Athena", in Kanon. Festschrift E. Berger, Basel 1988, pp. 101-107; E. Simon, Die Goetter der Roemer, Muenchen 1990, pp. 254-255.