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COMMEMORAZIONE DI GUIDO CALZA
di
Giovanni Becatti
socio corrispondente

Atti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia. Rendiconti 22, 1946-1947 (1948), 23-30.


Non è senza intima e profonda commozione per i molti e stretti legami di studio e di affetto, che prendo la parola per rievocare la figura di Guido Calza in quest'aula della Pontificia Accademia Romana di Archeologia che lo vide assiduo a tutte le sedute, sia come ascoltatore sia come disserente, prima quale socio corrispondente nominato il 2 marzo 1933, poi quale socio effettivo eletto l'8 gennaio 1942.

Guido Calza, nato a Milano il 21 aprile 1888, si formò nell'Università di Roma alla scuola di Emanuele Loewy, di Orazio Marucchi, di Dante Vaglieri e di Giulio Beloch, con cui discusse nel 1911 la tesi di laurea sulla conquista romana di Creta.

Nel 1912 con regolare concorso entrò nell'Amministrazione delle Antichità e Belle Arti e fu destinato come ispettore ad Ostia a fianco del maestro Dante Vaglieri, iniziando cosi quell'attività in questo centro di scavi a cui doveva dedicare tutta la sua vita, legando per sempre il suo nome all'archeologia ostiense.

Alla morte del Vaglieri, avvenuta l'anno dopo, 1913, la sua opera trova in Guido Calza un diretto e ininterrotto continuatore, prima sotto la breve direzione amministrativa di Angelo Pasqui e poi per un decennio sotto quella di Roberto Paribeni, finchè nel 1924 ne assume l'ufficio di direttore e infine di soprintendente.

Guido Calza ha avuto fin dall'inizio al suo fianco l'architetto Italo Gismondi e questa collaborazione ininterrotta tecnica e scientifica ha permesso lo scavo e la sistemazione della zona monumentale di Ostia antica. Impresa grandiosa che per l'opera appassionata, energica e sistematica del Calza ha oggi assunto le proporzioni di quelle di Pompei e dei grandi e famosi centri di scavo dell'oriente greco.

Alla morte del Vaglieri erano stati messi in luce il quartiere nord del Cardo Maximus con il Capitolium, che sempre era rimasto torreggiante con la sua alta mole laterizia, unico segnacolo dell'antica città sepolta, il quartiere del Teatro con gran parte del Piazzale delle Corporazioni, la Casa d'Apuleio, che con i vicini quattro tempietti era stata scavata dal Lanciani, la Caserma dei Vigili e le Terme di Nettuno, la Porta Ro-

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mana con il tracciato del Decumanus Maximus fino al Foro, con la Via delle Tombe, con qualche altra zona intermedia e l'isolata area del così detto Palazzo Imperiale. Questa è la parte del volto della città che era allora visibile e che fu magistralmente illustrata nella monografia di Ludovico Paschetto, «Ostia colonia romana, storia e monumenti», premiata e pubblicata da questa Accademia nelle Memorie del 1912 con prefazione di Dante Vaglieri, in cui il maestro tracciava il suo programma di completamento dello scavo degli edifizi precedentemente non messi del tutto alla luce, di congiungimento dei singoli gruppi di rovine, di scavi in profondità per ricercare le prime pagine della storia della città.

La morte che colse il Vaglieri a soli 48 anni gli impedì di attuare questo programma la cui realizzazione costituisce oggi il grande merito di Guido Calza. Egli svolse in pieno i tre punti fissati dal Vaglieri in modo che Ostia è ormai un'unica zona monumentale, e la città ci appare in tutto il suo aspetto complesso e unitario, mentre lo scavo in profondità ne ha rivelato anche gli aspetti primitivi.

Sotto la direzione del Paribeni si andava completando lo scavo del Piazzale delle Corporazioni e si iniziava lo scoprimento del quartiere fra il Teatro e il Capitolium sul lato nord del Decumanus Maximus con i grandi horrea e si metteva in luce tra il 1915 e il 1918 l'interessante quartiere compreso tra via della Casa di Diana, la Via dei Dipinti e Via dei Molini, che offrì la prima documentazione archeologica dell'aspetto architettonico delle abitazioni intensive in una città romana del periodo imperiale.

È nel seguire e nell'illustrare questo scavo impegnativo e ricco di novità che la personalità del Calza si delinea e si afferma in pieno. L'importanza delle scoperte gli fa sentire l'esigenza di un approfondimento del problema e alle accurate relazioni documentarie, che periodicamente egli pubblica nelle Notizie scavi dal 1914 in poi, aggiunge due nutriti lavori nei Monumenti antichi dei Lincei che sono il frutto della elaborazione scientifica dei risultati dell'attività militante, e restano fra le sue opere più significative.

Nella prima memoria «La preminenza dell'insula nell'edilizia romana», uscita nel 1915, egli delinea con lucida e magistrale chiarezza le profonde differenze che l'abitazione ostiense di periodo imperiale trova rispetto all'abitazione pompeiana, opponendo cioè l'insula alla domus e riassumendo in base all'analisi dei nuovi documenti ostiensi le caratteristiche dell'insula con questi punti fondamentali:

1. Sviluppo in senso verticale sino a raggiungere la sovrapposizione di tre o quattro piani, simili tra loro nella disposizione degli ambienti, con andamento continuo di terrazze e di tetti.

2. Introduzione quindi di facciate su strade o sopra aree scoperte.

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3. Costituzione di isolati composti di più appartamenti indipendenti e forniti di una o più scale sboccanti nella strada.

4. Sviluppo degli ambienti sulle facciate in dipendenza diretta o quasi diretta da queste.

5. Abbondanza di finestre in linea continua e in corrispondenza con ogni ambiente.

6. Introduzione di angiporti per la facile comunicazione dei caseggiati con le strade.

7. Indipendenza dei singoli piani e dei singoli appartamenti fra loro.

8. Introduzione di portici, di loggiati, di meniani sulle facciate esterne.

9. Introduzione di cortili o di spazi aperti nell'interno dei caseggiati, intesi come elemento di sussidio alla facciata.

10. (Caratteristica dei singoli appartamenti): Equivalenza degli ambienti tra loro per mancanza del predominio tettonico di uno sugli altri; sparizione quindi dell'atrio e delle parti con esso connesse.

Riprendendo poi in esame con dottrina e buon senso le fonti letterarie e i monumenti dimostrava come la domus divenisse dopo la Repubblica il tipo più raro mentre l'insula diveniva quello più comune di abitazione intensiva di affitto nel periodo imperiale con una genesi autonoma che assorbe e trasforma le caratteristiche della domus, che rimarranno integre solo in qualche ricca casa privata; distinguendo poi il significato di caseggiato proprio e dell'insula che non riunisce come la domus quelli di edificio e di abitazione, e puntualizzando infine i caratteri moderni dell'insula ostiense. Tutti questi concetti, che costituiscono ancora oggi il fondamento degli studi sulla casa romana e sono ormai entrati nel patrimonio culturale comune, dobbiamo ricordare che sono il frutto dello scavo e dello studio di Guido Calza all'inizio della sua attività scientifica. E nel pubblicare poi nella seconda memoria «Gli scavi recenti nell'abitato di Ostia», uscita nel 1920, i risultati definitivi di questa campagna fortunata, egli torna a precisare ancora più dettagliatamente e concretamente quei concetti, commentando i vari elementi architettonici e decorativi dell'insula ostiense, inquadrandoli anche nella storia edilizia della città.

Dopo la prima guerra mondiale, a cui egli partecipò come ufficiale del Genio, fu incaricato nel 1919 dall'Amministrazione delle Antichità e Belle Arti dell'assetto archeologico della Venezia Giulia sul quale pubblicò un rapporto riguardante Aquileia, Grado e Pola nelle Notizie scavi del 1920, e nell'estate del 1921 otteneva una missione in Oriente.

Ma dopo questa breve parentesi egli torna ad Ostia dove andava attuando uno dei punti del programma del Vaglieri, ricercando il volto

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repubblicano della città e delimitava e definiva tutto il castrum primitivo, raggiungendo l'area del Foro e raccogliendo il materiale degli strati archeologici più profondi. Queste accurate ricerche stratigrafiche venivano cosi a far nuova luce sul problema delle origini della città dibattuto dagli storici. Il Carcopino aveva cercato di provare l'esistenza di un centro federale latino antichissimo che sarebbe stato il primo nucleo della colonia ostiense fondata dopo la disfatta di Anzio del 338 a. C.; il Pais vedeva nella tradizione di una fondazione sotto Anco Marcio una leggendaria esaltazione della famiglia dei Marci, riportando quindi la prima colonia al IV secolo, mentre il de Sanctis inclinava ad ammettere una prima fondazione in età regia. Gli scavi del Calza dimostrarono che non v'è alcuna traccia archeologica di una città precedente alla colonia del IV secolo e la ceramica più antica è infatti quella etrusco-campana.

Lo scavo degli ampi horrea ad est della Via dei Molini, che offrivano l'esempio più completo e grandioso di questo interessante tipo di magazzino annonario ostiense, risalente all'epoca di Claudio, venne dal Calza e dal Gismondi accuratamente studiato e descritto dal primo nelle Notizie scavi del 1921.

Poi I'esplorazione si allargò nella zona occidentale del Foro liberando la Curia e la bella casa del Larario, illustrate ugualmente dal Calza nelle Notizie scavi del 1923, ed estendendosi poi al Piccolo Mercato, alle casette repubblicane, agli Horrea Epagathiana accuratamente restaurati e sistemati dove si poteva valutare in pieno l'architettura ostiense, e infine alla Casa dei Triclini e aile grandi Terme a sud-est del Foro.

Le zone scavate ampliavano sempre più il quadro di questa antica città e il Calza andava sempre più approfondendo lo studio comparativo dei monumenti e soprattutto delle case, di cui in un articolo «Le origini latine dell'abitazione moderna», in Architettura e arti decorative del 1923, commentava le sorprendenti analogie architettoniche d'impianto e di alzato con quelle dei nostri tempi, illustrandone i vari elementi.

Ma non soltanto l'opera del Calza restituiva un vasto centro abitato del periodo imperiale in tutte le sue linee, e negli anni dal 1928 al 1931 con un'attiva campagna condotta nell'Isola Sacra egli offriva l'esempio monumentale più completo di una necropoli romana, che illustrava ampiamente nella bella monografia «La Necropoli del Porto di Roma nel l'Isola Sacra» pubblicata nel 1940, mettendone in risalto gli interessanti aspetti architettonici, storici e artistici.

E un altro sepolcreto aggiungeva alla zona archeologica ostiense sulla Via Laurentina creando un suggestivo angolo cemeteriale, che descriveva con cura in una chiara relazione nelle Notizie scavi del 1938.

La bella Guida Generale di Ostia pubblicata dalla Casa ed. Bestetti & Tumminelli nel 1930 può rappresentare in sintesi tutto il frutto del

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lavoro militante e scientifico del Calza in questo primo periodo della sua attività dedicata a questo importante centro di romanità.

Nel febbraio del 1938 si iniziava l'ultimo e più intenso periodo dell'opera del Calza, che era chiamato ad assolvere il compito grandioso di una campagna sistematica e vasta di scavo nell'area ancora sepolta di Ostia, mirante a scoprire quasi tutto l'antico abitato urbano per creare una zona archeologica monumentale in vista dell'Esposizione Universale che doveva aver luogo nel 1942.

Per questo compito il Calza, che ebbe nel Gismondi un assiduo e prezioso collaboratore, seppe moltiplicare le proprie energie affrontandolo con scrupolo e coscienziosità, con passione e con esperienza, e a questa impresa dedicò tutto se stesso in anni di intenso, organizzato e fervido lavoro. Tutto sorvegliò e diresse con metodo, con dottrina, con amore, sempre instancabile e animatore, e il risultato fu che in cinque anni ben 17 ettari di superficie furono scavati, asportando oltre mezzo milione di metri cubi di terra e di macerie, e tutto il quartiere occidentale e meridionale della città venne restituito alla luce, adeguatamente restaurato e sistemato in un unico complesso di grande interesse archeologico, storico, urbanistico, panoramico.

L'intenso lavoro tecnico e direttivo non impedì al Calza di affrontare già durante gli scavi lo studio iniziale dei molti e complessi problemi che la nuova Ostia presentava e ne è prova, oltre le relazioni sommarie, lo studio «Contributi alla storia della edilizia imperiale romana» in Palladio, 1941, V, n. I, in cui illustra il tipo di casa ostiense a cortile porticato attraverso gli esempi più significativi offerti dai nuovi scavi, definendone la genesi, le caratteristiche, gli sviluppi, l'inquadramento storico e architettonico.

Il quadro ormai ampio dell'antica città gli permise già di giungere a calcoli sulla popolazione basati sul numero delle insulae che egli espose a confronto e a sussidio dello studio più vasto sulla popolazione di Roma, pubblicato in una memoria lucida e obbiettiva in garbata polemica con il von Gerkan nel Bullettino comunale del 1941, pp. 142 ss.

E proprio in questa Accademia egli volle presentare e commentare con parola dotta, chiara, e commossa le ricerche di scavo e di studio sulla Ostia cristiana con tre comunicazioni in cui illustrò la scoperta della basilica sul Decumano Massimo che egli propose di identificare con quella dei SS. Pietro, Paolo e Giovanni Battista eretta da Costantino in civitate Hostia sotto papa Silvestro, ricordata nel Liber pontificalis. Le due relazioni pubblicate nei Rendiconti XVI, 1940, pp. 63 ss. e XVIII, 1941- 1942, pp. 135 ss. sono un documento della sua coscienza e della sua passione di archeologo.

E lo studio di questa insigne reliquia archeologica egli lo aveva ulti-

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mamente ampliato ed esteso ad altri elementi emersi dai nuovi scavi che formarono oggetto dell'ultima sua comunicazione in quest'aula.

Nei tristi tempi scorsi quando sotto l'incalzare inesorabile degli eventi bellici venne l'ordine di abbandonare la zona di Ostia, Ouido Calza, dopo aver dato un rifugio sicuro alle opere d'arte, tentò ogni mezzo per mantenere i contatti e a costo di sacrifici e di rischi riusci a sorvegliare gli scavi con trepida cura, e vorrei poter dire con quanta gioia egli salutò il momento in cui potè ritornare stabilmente sul suolo ostiense e constatare che la guerra vi era passata fortunatamente senza lasciare che deboli tracce. Lo rivedo ancora sorvegliare con affetto quasi paterno il nuovo genere di scavo che rimetteva in luce le sculture intenzionalmente sepolte e lo risento ancora discutere e progettare, come primo segno della ricostruzione, l'ampliamento e la nuova sistemazione del museo ostiense onde raccogliere in una razionale esposizione scientifica ed estetica tutto il prezioso materiale dei passati e dei recenti scavi, reagendo con pronta energia a quell'atmosfera di depressione causata da tante distruzioni. In un solo anno, spronando con il suo esempio fattivo operai e maestranze e risvegliando in loro l'amore al lavoro dopo lunghi mesi di miserie materiali e di avvilimento morale, egli potè attuare il progetto, vincendo con tenacia le molteplici difficoltà dei tempi, e aprire nel giugno del 1945 le nuove luminose e linde sale agli studiosi e al pubblico, segnando la rapida ripresa della vita archeologica ostiense.

Nelle parole con cui egli si rivolse in quell'occasione agli intervenuti esprimeva la necessità di una collaborazione volenterosa e amichevole nel lavoro scientifico e solo quelli che hanno lavorato quotidianamente al suo fianco possono dire con quanta cordialità di rapporti, con quanta signorilità di tatto, con quanta comprensione egli intendesse questa collaborazione e come avesse saputo fare di tutti i suoi dipendenti una concorde e organizzata famiglia.

Terminata l'intensa campagna si presentava il compito altrettanto vasto e impegnativo della sistematica pubblicazione scientifica dei risultati complessi e ricchi e il Calza aveva già predisposto un piano dettagliato di lavoro che prevedeva una serie di volumi sui monumenti ostiensi divisi per classi e per tipi, con un primo volume generale introduttivo sulla storia degli scavi, sul castrum e la città repubblicana, sullo sviluppo topografico e urbanistico a commento della pianta generale, volume che egli ha lasciato manoscritto quasi per intero.

La pubblicazione di questa serie di volumi su Ostia avrebbe permesso di valutare in pieno l'importanza dell'opera attiva e intelligente di scavatore compiuta in questo trentennio dal Calza e la realizzazione di questo progetto scientifico, oltre che un dovere verso la scienza, mi parrebbe il miglior tributo che si possa offrire alla sua memoria e ai suoi grandi meriti.

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La sua natura attiva e organizzatrice, che aveva trovato pieno campo di espansione nell'ultima campagna ostiense, al cessare di questa non ebbe posa e, chiamato a dirigere anche il Foro e il Palatino per la avvenuta fusione di quest'Ufficio con quello di Ostia, si prodigò subito con energia e senza risparmio, nonostante che le sue condizioni fisiche dessero già qualche preoccupazione, cercando di raccogliere tutte le sue forze migliori per l'opera di riassestamento deil'importante zona monumentale di Roma dopo il triste abbandono degli anni di guerra. E anche qui aveva già progettato un piano sistematico di studio degli insigni documenti di architettura, di arte e di storia di questo cuore deil'Urbe, che aveva esposto in una conferenza al Museo di Roma nel marzo scorso. La morte lo ha colto dunque in pieno fervore di quell'attività della quale egli viveva e senza la quale la vita non avrebbe avuto significato per lui.

Accanto ai principali lavori che ho ricordato, e a cui vanno aggiunti quelli sulle iscrizioni e specialmente sui fasti ostiensi, in una serie vastissima di scritti minori, di sopraluoghi, di conferenze presso Istituti e Accademie in Italia e all'estero Guido Calza fece conoscere la sua Ostia parlando sempre con parola chiara, piana e con grande amore.

E se ai monumenti restituiti alla luce e ai suoi scritti è legata la figura di archeologo e di scienziato, nella memoria di quanti lo conobbero è oggi vivo il ricordo dell'uomo.

La sua simpatica figura, il cui volto stranamente richiamava ai tratti fisici di Traiano, era di un uomo sempre cordiale e cortese, e aveva doti altissime di bontà, di equilibrio, di onestà, di modestia, di umanità profonda, a cui egli informò sempre tutta la sua vita e che lo resero un funzionario integerrimo e apprezzato, un dirigente amato e rispettato, e per molti un amico sincero e caro.

Generoso nel mettere a disposizione degli studiosi i frutti del suo scavo, ebbe sempre un alto concetto della scienza e non l'asservì mai a scopi contingenti, non si chiuse mai in gretti egoismi e considerò sempre se stesso al servizio della cultura.

Anche nel grigio periodo trascorso, in cui dinanzi alle miserie della vita e alla tirannica legge della forza i valori morali sembravano tramontare e negli uomini messi alla prova facili erano gli errori e gli abbandoni, Guido Calza si rivelava sempre uomo di fede sicura, di onesto sentire, di diritta coscienza, sicchè in lui si trovava conforto ed aiuto.

La sua figura di scienziato, che occupa un posto preminente nella storia dell'archeologia e la sua figura di uomo possono quindi rimanere come esempio e come guida.

Raccogliersi nel ricordo di lui, se ci attrista acuendone il rimpianto, ci è peraltro di utile ammaestramento nella scienza e nella vita, due campi che è assurdo e vano credere disgiunti, poichè la personalità scientifica

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è per me sempre intimamente e indissolubilmente legata a quella morale e civile.

Io lo rivedrò sempre percorrere con passo rapido le vie selciate della antica città per accorrere a vedere una nuova scoperta, o passeggiare conversando dei progetti di lavoro e di studio, e, nelle più lunghe soste ostiensi, quando la laboriosa giornata si chiudeva al tramonto, quando i vecchi muri laterizi si arrossavano come fuoco vivo e il padre Tiberino ergeva il torso annoso dal suo liquido letto d'oro fuso nella calma vespertina scandita dagli ultimi voli dei corvi e più propizia per ascoltare le voci sopite della città morta, egli usciva allora più facilmente dalla naturale quasi pudica riservatezza di parola, rivelando le doti più riposte di uomo di gusto e di cuore.

In quella natura che egli molto amò, e in quel paesaggio da cui non seppe mai distaccarsi egli oggi riposa nella pace raccolta della vetusta cappella di S. Ercolano, accanto a Dante Vaglieri, entro un antico sepolcro della sua città e su cui, come egli volle con il suo conciso riserbo, sta scritto soltanto: Ubi vixit, vivet. Frase a cui la sua opera assicura un verace e profondo significato e a cui possiamo aggiungere secondo l'antica formula cristiana ostiense: hic dormit in pace, in quella pace eterna dello spirito che egli al termine della laboriosa e onesta giornata ben meritò, perchè uomo di buona volontà.